di Leo Beneduci_ Il 18 dicembre 2025 non segnerà soltanto la fine del c d. “tirocinio operativo” ma sarà anche il momento in cui i Commissari Capo del Corpo dovranno prendere atto del fatto che la loro carriera (tranne le solite eccezioni) non si consumerà al fianco di un dirigente del Corpo o dietro una scrivania, ma in prima linea, dentro reparti che i Provveditori hanno abbandonato al loro destino, quali vice Comandanti che però saranno i Comandanti effettivi. I superiori della stessa carriera si sono barricati negli uffici del DAP e dei PRAP, trasformando il comando operativo in un destino obbligato per chi non ha avuto il privilegio di blindarsi per tempo. Chi da Largo Daga ha calpestato il Prato per mettersi in gioco è tornato subito in tribuna. Alcuni commissari capo, per fortuna al momento pochi, hanno già deciso di dimettersi: la fuga dei neo‑agenti si ripete all’apice dei ruoli non dirigenziali, ma questa volta riguarda chi dovrebbe incarnare la nuova linfa tra i referenti della “truppa”. È il segnale più chiaro che il carcere, così com’è, non è un luogo di lavoro ma un campo di logoramento. Non è un caso che anche alcuni direttori dell’ultimo corso abbiano scelto di licenziarsi. Agenti, Commissari e Dirigenti, in un trittico del fallimento che dovrebbe parlare chiaro alla politica, non è vigliaccheria se la nave penitenziaria affonda in maniera irrimediabile, ma è un guardarsi attorno senza trovare mai nessuno di importante che tenda la mano per un aiuto o, almeno, per una spiegazione che renda plausibile ciò che invece risulta assurdo ogni giorno. Nessun progetto, nessuna prospettiva personale e/o generale, nessun ruolo o identità da vantare all’esterno. Il dramma è sempre lo stesso: responsabilità scaricate verso il basso, riconoscimenti inesistenti, carriere che premiano chi si sottrae al rischio e puniscono chi lo affronta. In questo quadro, parlare di “vocazione” è una beffa. Indispensabile un atto di rottura: istituire un Albo dei Comandanti di Reparto, attribuire punteggi incentivanti e gratificazioni economiche e professionali a chi regge la trincea. Senza tale riconoscimento, il sistema continuerà a produrre dimissioni e disillusione. La verità è brutale: lavorare in carcere è impossibile se chi lo fa non viene riconosciuto, premiato e difeso. Continuare a ignorarlo significa condannare l’istituzione ad un sicuro tracollo, oggi più che mai annunciato. Un abbraccio come mille abbracci. _ Nota per le redazioni_ Si autorizza la libera riproduzione del presente comunicato citando la fonte “OSAPP – Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria”. Interviste con il Segretario Generale OSAPP Leo Beneduci, disponibili previa richiesta, scrivere a osappoggi@gmail.com .
Leo Beneduci – Segretario Generale OSAPP
OSAPP – Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria
Ufficio Stampa OSAPP

