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ESPONENZIALE AUMENTO SUICIDI nelle FORZE DELL’ORDINE: risponde il criminologo VINCENZO MUSACCHIO

Il numero di Agenti di Polizia morti per suicidio è più del triplo rispetto a quelli feriti a morte nell’esercizio delle loro funzioni. Il suicidio è la risultante di molti fattori, non c’è solo la malattia psichiatrica. Ecco i punti critici. Risponde il criminologo Vincenzo Musacchio.

Professore cosa sta succedendo? Perché così tanti suicidi nelle forze dell’ordine?

Che le forze dell’ordine corressero un rischio di suicidio più elevato rispetto a qualsiasi altra professione è cosa oramai nota. Nel 2022 abbiamo catalogato 72 suicidi, così suddivisi: 16 nei Carabinieri; 8 nella Guardia di finanza; 3 dell’Esercito; 4 della Polizia Penitenziaria; 24 della Polizia di Stato; 8 della Polizia locale; 5 Guardie giurate; 2 Vigili del fuoco; 2 dell’Aeronautica militare e marina. Nel corso del 2021 sono stati catalogati 57 suicidi, nel 2020 erano 51. In effetti, il suicidio è così diffuso in queste professioni che il numero di agenti di polizia morti per suicidio è più del triplo rispetto a quelli feriti a morte nell’esercizio delle loro funzioni.

Quali possono essere le possibili cause?

È sempre molto difficile analizzarle ma credo vi sia una forte componente connessa allo stress psico-fisico in moltissimi suicidi. Dal nostro studio, tra le molteplici cause, emerge proprio lo stress intenso cui le forze dell’ordine sono esposte quotidianamente. Le statistiche esaminate probabilmente non riflettono nemmeno il numero reale di suicidi, poiché alcune famiglie hanno scelto di non riportare la causa della morte o di trascriverla come accidentale. Non dobbiamo dimenticare che gli agenti di polizia sono i primi sulla scena del crimine e assistono spesso a situazioni psicologicamente molto stressanti. Sebbene questi doveri civici siano essenziali per la società, possono essere molto difficili ed emotivamente estenuanti da superare per chi li viva con una certa frequenza. Gli agenti di polizia affrontano una grande quantità di traumi ogni giorno. Questa costante esposizione alla devastazione, a situazioni pericolose per la vita e allo sforzo fisico di lavorare per lunghe ore, può portare gli agenti a situazioni spesso ingestibili che andrebbero periodicamente monitorate.

Cosa in particolare li stresserebbe fino al punto di non ritorno?

Rifletterei, ad esempio, sul fatto che il tasso di depressione tra le forze dell’ordine è cinque volte superiore a quello della normale popolazione civile. Un dato questo da non sottovalutare. Oltre alla minaccia di danni fisici, gli Agenti sono costantemente testimoni di eventi devastanti e inquietanti come omicidi, suicidi e violenze di ogni genere. In media, gli agenti di polizia assistono circa duecento eventi critici durante il loro servizio. Questa esposizione può portare a molteplici problemi di salute mentale che però quasi mai sono sottoposti a monitoraggio. Vedono bambini maltrattati, cadaveri orribilmente mutilati, incidenti stradali con vittime. Ciò significa che gli eventi traumatici e stressanti si accumulano l’uno sull’altro senza che nessuno verifichi periodicamente gli effetti sul loro stato di servizio.

Come mai si parla poco di questi problemi?

Nonostante la prevalenza di problemi di salute mentale tra le forze dell’ordine, c’è molto timore nel chiedere aiuto e poche strutture idonee che diano in concreto questo tipo di sostegno. Molti appartenenti alle Forze dell’Ordine considerano la richiesta di aiuto come un segno di debolezza. Nel caso riconoscono di avere un problema di salute mentale, in tanti, temono che parlare di questi fatti si possa tradurre in battute d’arresto nella carriera. Tanti non vogliono subire la vergogna e l’umiliazione di vedersi ritirare l’arma e il tesserino.

Come fanno a superare queste difficoltà?

In tanti pensano di farcela da soli. Altri si rivolgono all’uso di sostanze stupefacenti o all’alcool nel tentativo di auto curare le loro patologie. L’uso di alcol e/o droghe può portare a una spirale senza via d’uscita che poi porta inesorabilmente verso il gesto estremo del togliersi la vita. In molti suicidi c’era traccia di alcol nel corpo della vittima. Questi sono fattori che vanno analizzati e studiati.

Che cosa fare in concreto per evitare questa escalation?

La prima cosa da fare è superare l’idea che cercare aiuto sia un segno di debolezza. Da quanto ho potuto esaminare dai dati avuti in visione, ritengo che la chiave per limitare i suicidi nelle Forze dell’Ordine sia porre fine al silenzio che circonda la questione della salute mentale. Chi svolge funzioni delicatissime come quelle delle Forze dell’Ordine deve sottoporsi periodicamente ai servizi di salute mentale. Ciò consentirà di individuare tempestivamente il problema e ottenere l’aiuto di cui si ha bisogno. Salveremo sicuramente molte vite umane.

Secondo Lei siamo di fronte a dati emergenziali?

Credo proprio di sì. La tendenza che sta assumendo questo fenomeno, parla da sola. I media, quasi ogni giorno, riportano notizie di suicidi che coinvolgono appartenenti alle forze dell’ordine. In una sola settimana nella stessa caserma si sono uccisi un ufficiale medico e un graduato. Non esiste un numero definito che indichi quando scatti l’emergenza ma sicuramente ciò che sta avvenendo è sotto gli occhi di tutti e scuote le coscienze e ancor più la società. Parlarne in ambienti militari infrangendo, di fatto, un tabù sarebbe cosa buona e giusta.

Vincenzo Musacchio, criminologo forense, giurista, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta. È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Esperto di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di una monografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto europeo di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative in ambito europeo.

 

 

 

Fonte: rainews.it – Pierluigi Mele

Redazione OSAPPoggi

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