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PARLA STEFANO ANASTASIA: “Covid,a Rebibbia situazione difficile. Bisogna ridurre le presenze in carcere”

Parla Stefano Anastasìa, il Garante dei detenuti del Lazio

Tante le criticità dei 14 Istituti di pena del Lazio. Ma a cercare risposte immediate è il carcere di Rebibbia che ospita 1440 detenuti a fronte dei 700 che dovrebbe trattenerne, anche per quegli spazi di emergenza che sono necessari. Le carceri, proprio per questa condizione di grave sovraffollamento, per le scarse condizioni igieniche e per le condizioni di salute di molti detenuti, sono luoghi ad alto rischio di diffusione per qualsiasi epidemia. Infatti, 110 dei detenuti attualmente sono positivi al Covid, nonostante gli sforzi della Polizia penitenziaria e del personale sanitario di questi lunghi mesi.

Il Garante dei Detenuti del Lazio, il Dott. Stefano Anastasìa, ci spiega cosa succede e se ci sono speranze che possa esserci a breve una svolta.

La situazione che si è creata a Rebibbia, che non è detto non possa duplicarsi altrove, è surreale. L’isolamento, il monitoraggio e l’assistenza sono possibili per le persone che hanno contratto il virus in carcere?

Situazione molto complicata e difficile, la maggior parte di queste persone è asintomatica ed ha bisogno solo di monitoraggio costante e non di assistenza sanitaria. Ma certamente li ho visti, ho visitato il reparto Covid di Rebibbia. Sono stanze ricavate da da una sezione chiusa in attesa di ristrutturazione, quindi fra quelle messe peggio dal punto di vista ambientale. Vedere queste persone in ambienti di 5 o 6 persone e in situazioni così precarie anche igienicamente ed altro è davvero molto difficile. Questo riguardo ai postitivi, ormai non spostano neanche più gli altri perchè non si sa dove metterli, quindi chiudono le sezioni dove risultano i detenuti positivi. Poi c’è il problema di coloro che sono stati in contatto con i positivi, che vanno con maggiore attenzione isolati, messi in quarantena per verificare nel caso dovessero risultare anch’essi positivi che non vadano a contagiare altri. Anche lì la mancanza di spazi, il cronico sovraffollamento degli Istituti di pena, in modo particolare di Rebibbia nuovo complesso, fa sì che queste quarantene non si svolgono come ci hanno spiegato, che dobbiamo stare in casa, in stanze separate, senza entrare in contatto e con tutte le precauzioni del caso. Le quarantene in carcere si svolgono tutti insieme, nella stessa stanza in cui normalmente si vive e i negativi e i positivi stanno insieme col rischio che si contagino fra loro.

Nel carcere lavorano sia il personale penitenziario che il personale medico-sanitario, che poi tornando a casa si rapportano a loro volta con le famiglie.

La campagna vaccinale che è partita sul piano nazionale copre in qualche modo il personale medico ed infermieristico, che già nei mesi passati risultava positivo operando dentro gli Istituti di pena. Ora con loro siamo un po più tranquilli, ma lo siamo meno nel caso della Polizia penitenziaria. Sono alcune decine i poliziotti positivi al virus, pur esentati dal servizio, stanno a casa, ma questo pesa su tutto il funzionamento della macchina. Avere venti agenti in servizio in meno significa complicare i turni di servizio, lasciare postazioni vuote. E’ un sistema intero in grande sofferenza.

Ci sono 5 REMS nel Lazio. In tre di queste è stato fatto il vaccino antiCovid ai pazienti e addirittura è stato già dato il richiamo. Come mai non si è pensato di vaccinare subito anche i detenuti nelle carceri che sono tutte sovraffollate?

La vaccinazione nelle tre REMS della ASL di Tivoli si è conclusa con i due cicli e le altre due lo stanno completando. Possiamo dire che tutta la popolazione dei malati di mente autori di reato ospitati nelle REMS sono stati vaccinati, ma questo lo hanno potuto fare le Autorità Sanitarie Locali, in particolare i Dirigenti di Salute mentale competenti su queste strutture, perchè si tratta di “strutture sanitarie” e rispondevano alla giurisdizione delle ASL. Le Strutture Sanitarie Residenziali sono quelle che sono state individuate come priorità assoluta, pensiamo alle famose RSA dove ci sono tanti nostri anziani e dove si è partiti nella campagna di vaccinazione e quindi i dirigenti sanitari hanno ritenuto di poter intervenire direttamente nell’ambito della loro autonomia anche in queste strutture in quanto strutture sanitarie. Purtroppo le carceri non sono strutture sanitarie, quindi la decisione riguardo le carceri, in merito alla campagna vaccinale, dipende direttamente dalle decisioni del piano vaccinale. Per cui le carceri in una prima fase non sono proprio state prese in considerazione e in una seconda fase è stato detto che le vaccinazioni potranno arrivare all’inizio della terza fase, cioè a partire da luglio. Sappiamo che ci sono i ritardi nelle forniture e che la cosa può slittare molto più in là. Questa però è responsabilità del piano vaccinale nazionale, del Ministero della Salute e del Commissario Arcuri, il quale vorrei precisare ha risposto alle molte sollecitazioni di noi Garanti e dei tanti operatori del sistema penitenziario. Ha finalmente detto che effettivamente le carceri , intendendo sia i detenuti che il personale che lavora nelle carceri, dovrebbero rientrare nella campagna vaccinale dopo gli ultra 80’enni, quindi nella prossima fase della campagna vaccinale. Aspettiamo che queste indicazioni al momento solo verbali del Commissario Arcuri, possano tradursi in provvedimenti scritti.

Potremmo considerare i detenuti parte di quella popolazione “fragile” dato che vivono non solo ammassati l’uno su l’altro, ma anche in condizioni igieniche molto scarse e in condizioni di salute spesso molto precarie?

Dobbiamo tener infatti presente la specificità delle istituzioni penitenziarie peraltro riconosciute a livello internazionale, a partire dallOMS in giù. Ovunque sia quindi riconosciuta una particolare fragilità o vulnerabilità degli ospiti delle istituzioni penitenziarie. In Italia lo ha fatto anche la commissione di Bioetica in un suo documento dello scorso aprile, dicendo che dopo le RSA le carceri sono un luogo di attenzione. Perchè sono un luogo di vita comunitaria esattamente come le RSA e sebbene ci sia un’età media più bassa ci sono condizioni non paragonabili e più gravi di quelle delle RSA e le persone detenute hanno storie di salute assai complicate con patologie pregresse molto rilevanti e quindi una vulnerabilità individuale molto significativa. Pertanto sono convinto che se la questtione dovesse essere discussa in sede di Comitato Tecnico Scientifico per il piano vaccinale, questo non potrà che decidere che quella delle carceri sia effettivamente una priorità.

Che tipo di disposizioni si potrebbero mettere in atto per alleviare questa situazione durante il Covid?

Sarebbe necessaria la riduzione delle presenze in carcere, una riduzione radicale ed immediata. Fino a quando non ci sarà una campagna vaccinale che possa coprire tutto l’ambiente penitenziario, detenuti e operatori, noi dobbiamo pensare che nelle strutture penitenziarie siano liberati spazi per quell’isolamento, quelle necessità di cura e di monitoraggio che oggi non ci sono. Purtroppo i provvedimenti governativi in questo senso sin dal marzo scorso sono molto timidi, non hanno fatto diminuire quanto necessario la popolazione detenuta, però gli uffici giudiziari e le autorità competenti possono intervenire con i loro strumenti. Ricordo che ci fu un intervento importante del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione Giovanni Salvi, sul contenimento delle misure cautelari in carcere e sulla possibilità di rinviare l’esecuzione di provvedimenti penali che non avessero una ragione di particolare urgenza o di sicurezza evidente. Intanto si potrebbe lavorare in questo modo poi bisogna procedere alla campagna vaccinale.

 

 

Fonte: affaritaliani.it – @vanessaseffer

Redazione OSAPPoggi

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