
Ci troviamo di fronte ad una serie di paradossi epocali che richiederanno prese di posizione estremamente decise.
L’Amministrazione Penitenziaria, priva di una guida certa ma ricca di improvvisazione, sta per violare contemporaneamente alcuni pilastri fondamentali delle tutela professionale degli appartenenti alla Polizia Penitenziaria: la sicurezza sul lavoro e la protezione dei dati personali.
In un singolare esercizio di contraddizione, il DAP ha architettato un sistema di videosorveglianza centralizzato che espone chi lavora nelle carceri ad un controllo a distanza non autorizzato, violando l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori che imporrebbe non solo un confronto sindacale preventivo, ma anche specifiche garanzie procedurali che invece vengono completamente ignorate. Ancor più grave, viene bypassato l’articolo 35 del GDPR, che richiede una valutazione d’impatto preventiva per trattamenti così invasivi dei dati personali. Il Codice della Privacy, all’articolo 171, non lascia spazio a interpretazioni: queste violazioni comportano precise sanzioni penali.
Il controllo e la gestione delle situazioni “critiche” e di particolare gravità, qualora segnalate (ma guai a non farlo) sarebbe assunto direttamente dagli Uffici Romani; difficile comprendere, norme attuali vigenti, come sia possibile bypassare nell’emergenza i Direttori delle strutture e magari anche i Prefetti (i Direttori nel frattempo tacciono, magari soddisfatti che le responsabilità non siano più le loro).
Ma l’improvvisazione amministrativa non si ferma qui. Lo stesso “gruppo di potere” che aspira al controllo assoluto di tutto e di tutti (lo avrebbe preteso/imposto “Lui”) illegittimamente attraverso le telecamere, ordina la chiusura delle celle dei detenuti in alta sicurezza (il 10 febbraio?) senza rispettare il D.Lgs. 81/2008. L’articolo 17 impone una valutazione preventiva dei rischi, l’articolo 28 ne specifica il contenuto obbligatorio, e l’articolo 43 prescrive precise misure per la gestione delle emergenze. Non sarebbero mere formalità burocratiche, ma prescrizioni poste a tutela dell’incolumità di chi opera a stretto contatto con la popolazione detenuta.
I dirigenti che emanano tali disposizioni dalla comodità delle loro scrivanie sembrano dimenticare che il potere di disporre comporta anche precisi obblighi di legge. L’omessa valutazione dei rischi espone a responsabilità penale per eventuali infortuni secondo gli articoli 589 e 590 del codice penale.
Costoro dimenticano, tra l’altro, che la Polizia Penitenziaria non è un corpo di automi telecomandati da Roma, bensì un Corpo di professionisti in relazione ed a contrasto delle criminalità, che merita rispetto e tutele concrete, per cui chi vuole impartire ordini deve prima scendere in trincea, verificare le condizioni sul campo e assumersi le proprie responsabilità.
Il nostro messaggio è inequivocabile: o l’Amministrazione si adegua agli obblighi di legge, predisponendo le necessarie valutazioni preventive e le dovute misure di sicurezza prima di emanare disposizioni operative, o dovrà rispondere delle proprie omissioni nelle sedi competenti.
Non accetteremo (semmai come OSAPP lo avessimo mai accettato in passato) che i Colleghi/e siano controllati illegalmente mentre vengono esposti a rischi non valutati. Che il messaggio risulti chiaro: la dignità professionale della Polizia non è negoziabile!
Un abbraccio a tutti acchè soprattutto ora e per i giorni che verranno, l’unità di intenti, la solidarietà tra Noi e la consapevolezza di ciò che siamo, non ci abbandonino.-
Leo BENEDUCI – Segretario Generale OSAPP
Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria