In Tribunale la ricostruzione investigativa di un funzionario della Polizia penitenziaria. Il teste ripercorre, attraverso le intercettazioni ambientali, la gestione atipica delle sorelle Zappia e dei fratelli Fontana.
«L’allocazione dei detenuti nelle stesse celle, o con un rapporto di consanguineità, coimputati e l’appartenere al medesimo contesto criminale»: è questo uno dei temi d’accusa cruciali, nell’ottica della Procura ed adesso al vaglio del Tribunale collegiale, nel processo sulla presunta gestione disinvolta delle carceri reggine che vede tra gli imputati (con la posizione principale) l’ex direttrice Maria Carmela Longo.
Una tematica accusatoria che il Pm, Sabrina Fornaro, ha affrontato con l’assistente capo Gianni Capparella, del nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria.
Il teste ha spiegato in Aula il “modus operandi” (come da verbale d’udienza): «Per quanto riguarda le sorelle Zappia è stata intercettata una conversazione all’interno dell’ufficio della dottoressa Longo.
Entra il Sovrintendente S. R. (non imputata in questo processo, ndr), parlando… conferendo con la dottoressa Longo dice:
“Dottoressa, per le sorelle Zappia che dobbiamo fare? Le sorelle Zappia sono insieme tutti e tre”.
La donna riparte: “In base a quella nota ministeriale che dobbiamo fare lì al femminile?” La dottoressa Longo risponde: “Facciamo le gnorri”.
La donna dice: “Okay” e ride. E la dottoressa controbatte: “Non sappiamo niente” e ridono entrambi.
Fonte: reggio.gazzettadelsud.it
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