LA CHIAVE DELLA COLLABORAZIONE – Attualmente per il condannato all’ergastolo ostativo l’unica strada per accedere al procedimento che potrebbe portarlo alla liberazione condizionale è quella della collaborazione con la giustizia, con l’accesso ad un periodo di libertà vigilata, a conclusione del quale, solo in caso di comportamento corretto, consegue l’estinzione della pena e la definitiva restituzione alla libertà.

Ma secondo la Consulta “la collaborazione con la giustizia non necessariamente è sintomo di credibile ravvedimento, così come il suo contrario non può assurgere a insuperabile indice legale di mancato ravvedimento: la condotta di collaborazione ben può essere frutto di mere valutazioni utilitaristiche in vista dei vantaggi che la legge vi connette, e non anche segno di effettiva risocializzazione, così come, di converso, la scelta di non collaborare può esser determinata da ragioni che nulla hanno a che vedere con il mantenimento di legami con associazioni criminali”.

Al beneficio della restituzione alla libertà possono accedere, dopo aver scontato almeno 26 anni di carcere, tutti gli altri condannati alla pena perpetua, compresi quelli per delitti connessi all’attività di associazioni mafiose, i quali abbiano collaborato utilmente con la giustizia.

Ed è questo il punto chiave dell’ordinanza della Consulta, che spiega come “in base alla giurisprudenza costituzionale, è proprio l’effettiva possibilità di conseguire la libertà condizionale a rendere compatibile la pena perpetua con la Costituzione; se questa possibilità fosse preclusa in via assoluta, l’ergastolo sarebbe invece in contrasto con la finalità rieducativa della pena”, previsto dall’articolo 27 della Costituzione.

L’attuale disciplina ostativa metterà però “in tensione” questo principio. Secondo la Consulta “da una parte eleva l’utile collaborazione con la giustizia a presupposto indefettibile per l’accesso alla liberazione condizionale, dall’altra sancisce, a carico dell’ergastolano non collaborante, una presunzione assoluta di perdurante pericolosità. Assoluta appunto perché non superabile da altro se non dalla collaborazione stessa, e che non consente in radice l’accesso a nessun beneficio”.

L’incompatibilità con la Costituzione per i giudici della Corte “deriva dal carattere assoluto della presunzione, che fa della collaborazione con la giustizia l’unica strada a disposizione dell’ergastolano per accedere alla valutazione della magistratura di sorveglianza da cui dipende la sua restituzione alla libertà”.

Altro punto chiave dell’ordinanza riguarda ancora una volta il fattore collaborazione dei detenuti: può essere dubbio, si legge nella motivazione, che questa “sia frutto di una scelta sempre libera”. Pur non essendo in discussione “il rilievo e l’utilità della collaborazione, intesa come libera e meditata decisione di dimostrare l’avvenuta rottura con l’ambiente criminale”, l’ordinanza sottolinea che l’attuale disciplina prefigura una sorta di “scambio” tra informazioni utili a fini investigativi e conseguente possibilità di accedere ai benefici penitenziari. Per l’ergastolano ostativo che aspira alla libertà condizionale, questo scambio può assumere “una portata drammatica allorché lo obbliga a scegliere tra la possibilità di riacquisire la libertà e il suo contrario, cioè un destino di reclusione senza fine”. “In casi limite – scrive la Corte – può trattarsi di una “scelta tragica”: tra la propria (eventuale) libertà, che può tuttavia comportare rischi per la sicurezza dei propri cari, e la rinuncia a essa, per preservarli da pericoli”.