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CATANZARO – “Rinascita”: videochiamate in carcere e 1500 euro per la complicità della guardia

Agli atti del maxi processo lo stralcio inedito di un verbale di Emanuele Mancuso. I contatti con la famiglia e l’ira del padre quando li scoprì.

«Per quanto riguarda mio fratello Giuseppe Salvatore Mancuso, posso dirvi che mandò una lettera fuori dal carcere a Pantaleone Perfidio e che lui la consegnò a me: si trattava di una lettera nella quale mi chiedeva di acquistare dei telefonini e delle Usim card». Torna l’argomento carcere, telefonini e guardie infedeli. Ne ha già parlato in aula Emanuele Mancuso, 33enne collaboratore di giustizia, nel corso del processo Rinascita-Scott. Oggi uno stralcio, prima omissato, del verbale del 29 giugno 2018, è stato messo agli atti del processo. E la vita facile che i Mancuso, potente cosca di Limbadi, potevano avere anche se ristretti in carcere, torna in auge.

1500 euro per corrompere la guardia.

«Ho speso 3000 euro per questa operazione: di cui 1.500 euro per acquistare 5 telefonini criptati e 1.500 per la guardia carceraria di Secondigliano che avrebbe provveduto a farglieli avere in carcere dove all’epoca era detenuto. Consegnai ad un fratello della fidanzata di un detenuto – compagno di cella di mi fratello – i 1500 euro da dare alla guardia e 4 telefonini rigenerati, comprati su internet, sui quali ho installato gli applicativi di whatsapp e altre applicazioni andando al negozio Driver di Gioia Tauro (prima appartenente a Rocco Papalia), tenendo per me il quinto telefono ed una sim», racconta Emanule Mancuso.
Ma a chi intestava le sim il giovane Mancuso? «I telefoni li ho comprati su internet nell’anno 2017, mentre le sim – racconta – le ho comprate separatamente» e alcune furono intestate al nipote della «ex fidanzata di Domenico Mancuso figlio di Mbrojjhia (Giuseppe Mancuso, ndr)».

Le videochiamate dal carcere e l’ira dell’“Ingegnere”

Emanuele Mancuso spiega che con lo stesso telefono il fratello lo ha contattato dal carcere «con una videochiamata, effettuata su un programma di cui ora non ricordo il nome». Giuseppe Salvatore Mancuso approfittò del cellulare, racconta Emanuele, per contattare la famiglia, la sorella, le nipoti, la madre. Ma quando lo seppe il padre si scatenò il finimondo: «Si arrabbiò molto e quindi mia madre – su indicazione di mio padre – si fece consegnare da me il telefono. Ho consegnato il telefono svuotandolo dei dati contenuti. Quindi ho preso un altro telefono uguale e ho scaricato le stesse applicazioni che ho continuato ad impiegare per contattare mio fratello fino a quando non lo hanno trasferito».

 

 

Fonte: corrieredellacalabria.it – (a.truzzolillo@corrierecal.it)

 

Redazione OSAPPoggi

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