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Casale Monferrato, diventerà un museo l’ex carcere da cui evase il capo delle Brigate Rosse

Si sta  ultimando la bonifica dei tetti d’amianto, ma l’interrogativo è come verrà sfruttata la struttura in futuro.

CASALE MONFERRATO. L’ex carcere di via Leardi si prepara per una nuova vita. Si sta infatti ultimando la bonifica dei tetti d’amianto, ma l’interrogativo è come verrà sfruttata la struttura in futuro.

La proprietà non è del Comune, ma dell’imprenditore milanese di origine monferrine Fabio Cei, che ha un’enorme collezione di opere di arte contemporanea (si parla di 35 mila pezzi) e che già in passato aveva espresso l’intenzione al Comune di avere un luogo dove esporle. Una parte della collezione era stata oggetto di una mostra al castello nel 2015. Poi tutto si era bloccato.

Il sindaco Federico Riboldi annuncia ora «di aver avuto contatti con la proprietà per un possibile uso della struttura», senza specificare di cosa possa trattarsi e rimandando i dettagli alla prossima settimana. Le spiegazioni del Comune sono ancora vaghe, pur accennando «a una ventilata possibilità di sfruttare quell’immobile a fini turistico-ricettivi i o per manifestazioni del Comune che attirino l’attenzione dei turisti sulla città».

Poiché l’immobile è privato e risalente al XVIII secolo, la sua ristrutturazione dovrà fare i conti con la Sovrintendenza, ma all’esborso iniziale del compratore (la Gazzetta ufficiale fissava l’importo in circa 15 milioni) si deve aggiunger ora la bonifica dei tetti in amianto.

L’imprenditore sarà un mecenate e metterà la struttura a disposizione del Comune? O l’amministrazione dovrà acquistarla o versare un canone per utilizzarla? Evenienza questa che il vice sindaco Emanuele Capra esclude.

L’allora carcere di Casale salì alla ribalta nazionale il 18 febbraio 1975, quando con l’aiuto di alcuni complici da qui fuggì il brigatista Renato Curcio. Fu un’azione fulminea con i complici che entrarono con uno stratagemma e spianarono i mitra contro l’agente che aveva aperto la porta. Poi tagliarono i fili del telefono per evitare che l’allarme fosse lanciato. Si fecero aprire tutte le celle e a quel punto la fuga fu facile con direttore e guardie rinchiusi in una cella. Dopo di allora il ministero rinchiuse i detenuti politici in carceri di massima sicurezza.

Fonte: lastampa.it
Redazione OSAPPoggi

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