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Carcere – Brescia è tra i peggiori: sovraffollamento stimato al 200%

In serata, Luisa Ravagnani, garante dei detenuti, esce da Caton Mombello dopo un «gruppo» di lavoro dedicato ai diritti umani. Quelli altrui, del mondo «fuori». «E mi sono chiesta: adesso cosa dico loro? Cosa racconto?». Non serviva certo un bollettino, ma anche lei ha letto il rapporto dei primi 6 mesi 2021 stilato dall’associazione Antigone, intitolato «A partire da Santa Maria Capua Vetere, numeri, storie, proposte per un nuovo sistema penitenziario». E ci risiamo, di nuovo: il carcere di Brescia è tra i cinque penitenziari peggiori d’Italia, con un sovraffollamento che sfiora il 200%: 378 detenuti (al 30 giugno, una ventina nel frattempo è stata trasferita) a fronte di 189 posti. Insieme a Brescia, fra le strutture che superano il 150%, troviamo Bergamo (529 detenuti, 168%), Brindisi (194 detenuti, 170,2%), Crotone(148 detenuti, 168,2%). In tutto, a livello nazionale, si contano 53.637 detenuti, di cui 17.019 stranieri (il 32,4%). Percentuale, questa, che a Canton Mombello pesa ulteriormente.

E se la promiscuità moltiplica la tensione, dice Carlo Alberto Romano — docente di criminologia alla Statale di Brescia — la soluzione passa da due strade: «Da un lato diminuire le custodie cautelari, siamo al 30% in Italia e a Brescia la percentuale sale vista l’incidenza di stranieri, dall’altro aumentare le esecuzioni penali esterne. Gli strumenti ci sono, manca il coraggio di applicarli». E in un sistema carcere «che fra gestione dei trasferimenti e pandemia non mi pare abbia una visione così progressista: stiamo tornando indietro, ed è grave». Alla base del problema, per Romano, c’è «il profondo scollamento fra teoria e pratica: ci riempiamo tanto la bocca di rispetto dei diritti umani, ma la quotidianità è ben diversa». Certo è — dice — «non si possa continuare a usare il carcere in questo modo: è il luogo del non-senso». Lo ribadisce da anni: «Credo sia una realtà che va rivista, che non serve così come è strutturata, se non in regime di 41 bis». La quotidianità, in cella, «è la sintesi di una serie di incongruenze rispetto ai principi costituzionali: poi arriva l’Europa che ci bacchetta e per un po’ righiamo dritto. Ma non è sufficiente».

No, non lo è. Ravagnani avrebbe dovuto parlare del mondo fuori, gli incontri non sono finalizzati alle lamentele. Ma dentro, la realtà è fatta «di trasferimenti condotti senza criterio, per esempio — ribadisce anche lei — chi li chiede li vede negati, chi vuole restare viene spedito dall’altra parte della regione lontano da una famiglia ormai radicata e in barba alla territorializzazione della pena». Ne parleranno tra loro, i garanti, nei prossimi giorni. «Il problema del sovraffollamento è serio», ma per Ravagnani «manca la base: gli educatori, per cominciare. A mio modo di vedere, per rendere attuabile il dettato costituzionale, ne servirebbe uno ogni 10 detenuti, in Europa la media si aggira sui 35». A Canton Mombello «ne hanno tre effettivi, più due agenti di rete. Ma «servono anche psicologi, psichiatri, comunità e operatori per attuare le misure alternative». In sintesi, «è un problema di approccio: l’educatore non è nelle condizioni di fare un trattamento, che non può ridursi a un colloquio sporadico, ma deve tradursi in un percorso rieducativo vero. Bisogna investirci risorse, senza nascondersi solo dietro al sovraffollamento, ma a nessuno importa: a livello centrale non c’è l’interesse che funzioni, basta far finta di gestire le cose».
Fonte: brescia.corriere.it
Redazione OSAPPoggi

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