
di Leo Beneduci_ La Polizia Penitenziaria versa il suo sangue nelle sezioni detentive in senso purtroppo non solo figurato ma anche reale, ma il rischio più grande per chi lavora in prima linea non viene dai detenuti. Viene dai vertici. Da sette anni – il tempo necessario per il completo ricambio cellulare del corpo umano – al piano terra del DAP siede lo stesso dirigente generale, mentre chi rischia ogni giorno viene abbandonato all’incertezza e al caos amministrativo.
La gestione scriteriata degli incarichi di vertice negli istituti è il più grande rischio per chi lavora in carcere. Mentre il Sottosegretario delegato continua a promettere direttori stabili, la Direzione Generale del piano terra del Dap abbandona il personale all’incertezza di comandi temporanei che, alla prima criticità, non esitano a scaricare sulla Polizia Penitenziaria ogni responsabilità. Ci vuole un attimo per finire sul banco degli imputati a difendersi in un consiglio di disciplina o in Procura. Per chi lavora “dentro” è facile finire nella rete di un sistema che preferisce le reggenze alla stabilità, senza direttive chiare e senza protezione.
La precarietà nelle direzioni e nei comandi degli istituti penitenziari rappresenta, più che una iattura, una vera e propria condanna per il personale di trincea e per il “direttore di turno” diviene fin troppo facile, di fronte a una criticità, ordinare di procedere disciplinarmente o mandare “per dovere d’ufficio” tutto in Procura, lasciando poi il malcapitato in divisa sul banco degli imputati a doversi difendere e a dimostrare la propria estraneità ai fatti contestati, salvo poi e, fortunatamente, come spesso avviene in sede penale (ma pressoché mai in sede disciplinare presso gli irreprensibili Dap e Prap) essere prosciolto da ogni addebito.
Chi comanda veramente a Largo Daga n.2 a Roma e, soprattutto, su cosa comanda? Siamo assolutamente convinti, e lo abbiamo persino affermato più volte per iscritto, che il sottosegretario Andrea Delmastro Delle Vedove comandi tutto e tutti, almeno sulla carta, nell’attuale Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, dove non si muoverebbe letteralmente foglia senza che lui lo voglia. Eppure, in materia di incarichi di responsabilità negli istituti e nei servizi penitenziari, non è quasi mai così. Rispetto a ciò che accade sul territorio, ad esempio, risulta di tutta evidenza quanto e come la Direzione Generale del Personale dello stesso DAP, sede dell’immarcescibile Massimo Parisi (ancora al suo posto dopo ben 3 Governi, addirittura anche di opposto schieramento, 3 capi dipartimento diversi e prossimamente 4, come non era ancora accaduto a nessun altro) – resti affezionata alle reggenze, ovvero al deleterio meccanismo secondo cui lo stesso direttore possa esserlo di più sedi contemporaneamente, riuscendo, di fatto, a non esserlo di nessuna veramente. Il sottosegretario Delmastro, sicuramente consapevole del problema, aveva promesso che entro il mese di marzo (già dello scorso anno?) ci sarebbe stato un direttore stabile in ogni carcere ed altrettanto dicasi per i comandanti dei reparti, storicamente non individuabili con certezza e stabilità neanche previe laute ricompense forfettarie. Addirittura, lo stesso Sottosegretario tali annunci li ha fatti anche di recente (la DG del personale del DAP lo sapeva?) per le carceri, tutt’altro che di tranquillo andamento, di Prato e Firenze-Sollicciano.
Un ulteriore elemento di incoerenza, poi, riguarda la gestione dei nuovi funzionari di polizia. Dopo l’assegnazione dal corso, prevista per la seconda metà del corrente mese di maggio, permarranno nella qualifica di Commissario per ulteriori 8 mesi prima di diventare Commissari Capo. Un limbo professionale che rappresenta un’altra occasione persa, in cui la parola “operativo” che segue il termine “tirocinio” dovrebbe, come in realtà non avviene, salvare la capra e i cavoli del tutto insieme al niente, perché da un lato anche per i Comandanti, si mantengono reggenze affidate a pochi giorni settimanali di presenza, dall’altro si affideranno le responsabilità massime nel sanare lacune anche decennali di alcune sedi, mascherate dal prefisso “vice”, a chi almeno in teoria dovrebbe ancora imparare il mestiere. Una sorte ben diversa rispetto alla maggioranza dei “consiglieri penitenziari” di prima nomina, alcuni dei quali però, ancora per volontà della sempiterna Direzione Generale del personale, riescono a ricoprire “tranquillamente” incarichi di responsabilità in sedi di primo livello superiore, forse per esserne “i responsabili di turno”.
Le sedi di Prato e Sollicciano che ancora citiamo perché teatro delle affermazioni del sottosegretario, sono attualmente gestite da direttori di recente nomina che, nonostante le indubbie qualità professionali, non possiedono i requisiti formali per assumere incarichi in istituti di primo livello superiore. Questi affidamenti temporanei rappresentano l’ennesima dimostrazione dello scollamento tra dichiarazioni politiche e realtà amministrativa. La Direzione Generale del personale e i Provveditorati Regionali continuano ad assegnare incarichi di reggenza limitati a uno o due giorni settimanali a direttori con esperienza consolidata – alcuni dei quali percepiscono già le indennità per sedi di livello superiore – mentre le strutture necessiterebbero di una gestione continuativa e presente.
Quando cesserà questo florilegio di incoerenza e disagio?
Quando avrà fine l’abitudine dell’attuale Dap di colpevolizzare i più piccoli e deboli e difendere gli indifendibili? È urgente che per il DAP la mano destra (politica) comprenda le conseguenze del fatto che la mano sinistra (amministrativa) ne disconosce continuamente gli intenti: rendere coerenti le promesse politiche con le azioni amministrative è l’unica strada per garantire una gestione efficace del sistema penitenziario italiano, che attende risposte concrete da troppo tempo.
Fraterni Saluti a tutti.
Leo Beneduci – Segretario Generale OSAPP
Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria
Ufficio Stampa OSAPP